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Aurelia

Durante la guerra, Gianni Lancia comincia a occuparsi dei progetti futuri della Casa che reca il suo nome. Convinto che la trazione anteriore non fosse l'ideale, pare a causa di esperienze negative vissute al volante di una Traction Avant Citroën, pensa di esplorare quella posteriore (o più correttamente centrale-posteriore): dopo qualche progetto datato 1944, nel 1948 viene realizzato un prototipo, denominato A10, munito di un motore a 8 cilindri a V di 90° di circa 2 litri di cilindrata (tipo 853, alesaggio mm 67 e corsa mm 69, per un totale di 1946,16 cmc) erogante, con un carburatore Weber doppio corpo, una potenza di base di 70 HP a 4900 giri. Questo leggero motore (poco più di 150 Kg) è realizzato totalmente in lega leggera con camicie umide (cioè a contatto diretto con l'acqua), camere di combustione emisferiche, e ha una distribuzione ad albero a camme centrale. Il progetto iniziale (febbraio 1945) prevede l'installazione del motore su una carrozzeria berlina a 4 porte ma il prototipo effettivamente costruito, con telaio tubolare, viene munito di carrozzeria coupé (realizzata dalla carrozzeria Ghia). Caratteristiche singolari di questo coupé sono anche costituite dall'abitacolo, che contempla tre posti anteriori (con il guidatore in posizione centrale) e dal comando del cambio, che è del tipo con preselettore. Il progetto viene però accantonato: gli si preferisce un qualcosa di meno rivoluzionario e, soprattutto, meno costoso: quello destinato a sostituire effettivamente l'Aprilia e che darà origine all'Aurelia.

Dall'Aprilia all'Aurelia

Nel novembre del 1943 la Lancia riporta a Torino la Direzione tecnica (affidata all'ing. Giuseppe Vaccarino) e la Direzione esperienze (di cui è a capo Vittorio Jano), che erano state prudenzialmente trasferite a Padova: saranno proprio i due grandi tecnici, affiancati dal giovane ing. Francesco De Virgilio (capo del servizio studi speciali e brevetti) ad elaborare studi e progetti che porteranno alla definizione delle caratteristiche tecniche del modello B10, successivamente battezzato Aurelia. Pare che l'idea di un propulsore a 6 cilindri a V sia sorta nella mente dell’ing. De Virgilio sin dalla fine del 1943. Dopo i primi studi, il giovane tecnico si persuade che la necessaria equilibratura può essere ottenuta se l'angolo della “V” è compreso tra i 40° e gli 80°. Per testare la validità di questa teoria, viene utilizzato un motore ad 8 cilindri a V di 40° circa che era stato costruito nel 1941-42, al quale vengono tolti due cilindri e trasformato quindi in un 6 cilindri. Qualche tempo dopo, viene provato un nuovo propulsore in cui la “V” dei cilindri viene portata da 40° a 60°: finita la guerra, esso costituisce la base di studio per la realizzazione di quello definitivo destinato ad essere installato sulla nuova Aprilia (ancora non si ipotizza un vero modello del tutto nuovo).
In questa fase, il nuovo motore (tipo 538) ha una apertura dei cilindri di 45° (limite massimo per contenere l'ingombro e consentirne il montaggio nell'Aprilia), un solo albero a camme ed una cilindrata di 1568,89 cm3 (alesaggio mm 68, corsa mm 72): esso viene installato su alcune berline (Aprilia per l'appunto) per i collaudi su strada, che si protraggono per circa tre anni, dal 1945 ai primi mesi del 1948. In quel triennio, vengono anche testati motori con cilindrate inferiori, tra cui uno “quadro” con alesaggio e corsa di mm 68 (cmc 1481,73), ma l'unità motrice che da le maggiori soddisfazioni è proprio quella di 1569 cm3, che riesce ad erogare potenze di tutto rispetto (il limite massimo raggiunto è di 62 CV a 4500 giri.
Nel 1948, Gianni Lancia, ormai direttore generale, rompe gli indugi: da una parte accantona l'idea di proseguire sulla strada del prototipo A10 a motore centrale-posteriore (perché ritenuto troppo costoso da costruire), dall'altra è convinto che il semplice aggiornamento dell’Aprilia non sia sufficiente al rilancio aziendale, per cui decide il varo di un modello completamente nuovo che rientri però nello schema Lancia classico. Nel frattempo la direzione tecnica è nelle mani di Jano, che, assieme a De Virgilio (che nel 1947 ha sposato Rita Lancia, nipote di Vincenzo Lancia), costruisce un secondo propulsore sperimentale, sempre di 1569 cm3 ma con apertura di 50° (sarà il B10 primo tipo).
Il motore definitivo viene realizzato nel 1949; l'angolo di apertura della “V” viene aumentato a 60° (un valore che garantisce un'ottima equilibratura del 6 cilindri, come confermano alcuni test effettuati al Politecnico di Torino dal prof. Capetti), la cilindrata viene portata a cmc 1754,90 (incrementando sia la misura dell'alesaggio, da mm 68 a mm 70, sia il valore della corsa, da mm 72 a mm 76). Il blocco è in lega leggera con canne cilindri in ghisa, l'albero di distribuzione è unico, comandato da una catena doppia, a rulli (mantenuta in tensione da un tendicatena idraulico, secondo uno dei tanti particolari tecnici coperti da brevetto Lancia). L'impianto di raffreddamento, ad acqua con pompa (circolazione forzata) è regolato da due termostati, uno posto sulla tubazione (che regola la circolazione dell'acqua) e l'altro posizionato sul radiatore (per comandare la persiana regolatrice della portata dell'aria). La potenza di questa unità motrice non è molto elevata (56 CV totali, corrispondenti a 32 CV/litro scarsi), al pari del valore del rapporto di compressione (6,85:1) e del regime di rotazione (la potenza massima è erogata a 4.000 giri/minuto, ma il motore può ruotare fino a 4.500-4.700 giri/minuto). Notevole l'elasticità di marcia, grazie al valore della coppia motrice massima (10,8 kgm ad un regime di rotazione compreso tra 2.500 e 3.000 giri/minuto).
La nuova creatura (B10) non si distingue però soltanto per il nuovo propulsore: tutta la meccanica della vettura, come del resto la carrozzeria, è frutto di un progetto definito “ex novo”. Le dimensioni generali della vettura sono maggiori rispetto a quelle della Aprilia, a cominciare dal passo, che misura 11 cm in più (286 contro 275) per offrire maggiore abitabilità ma soprattutto per ospitare il propulsore che, avendo 6 cilindri anziché 4, ha una maggiore lunghezza. Nella trasmissione, una grossa innovazione è data dal fatto che frizione, cambio e differenziale vengono realizzati in gruppo unico, ancorato al telaio e disposto al retrotreno, onde aumentare il peso gravante sulle ruote posteriori e diminuire quello gravante sulle anteriori. Da segnalare ancora che il comando del cambio è ora al volante, in sintonia con la moda imperante dell'epoca.
Quanto all'impianto frenante, ovviamente idraulico, va rimarcato che, al retrotreno, i tamburi sono posizionati in posizione centrale, all'uscita del blocco differenziale, all'evidente scopo di ridurre le masse non sospese. Le sospensioni all'avantreno mantengono il classico schema Lancia (ruote indipendenti, molle elicoidale racchiuse ed ammortizzatori idraulici incorporati), mentre al retrotreno è stato realizzato un eccellente sistema di sospensione a ruote indipendenti, diverso e forse anche più semplice rispetto a quello della progenitrice. Così venne descritto da Ferruccio Bernabò in un pregevole scritto apparso sulla Rivista Lancia: Scartata la soluzione del braccio oscillante trasversale, che produce una oscillazione laterale della ruota che indurisce la sospensione, si opta per una soluzione in cui il braccio porta-ruota (contrastato elasticamente da una molla cilindrica) viene disposto diagonalmente, per cui ogni ruota viene a spostarsi secondo la generatrice di un cono con vertice sull'asse trasversale del gruppo frizione-cambio-differenziale. In realtà, il braccio portaruote è costituito da un triangolo in tubi con articolazioni montate su boccole in gomma: gli assi di tali boccole non sono però allineati ma – con soluzione coperta da brevetto – disposti obliquamente rispetto all’asse di oscillazione dei bracci: tale obliquità dei silentblocs ha lo scopo di evitare carichi eccessivi lungo gli assi degli stessi e garantire la migliore tenuta.
La B10 berlina ha naturalmente la struttura portante, ed è caratterizzata da una linea assai sobria ed elegante, ispirata a quella di una Aprilia carrozzata da Pininfarina nel periodo 1946-1948 ma disegnata in casa Lancia ed ulteriormente ammodernata ed addolcita. La caratteristica mascherina anteriore “a scudetto” viene mantenuta, anche se ammodernata ed arrotondata. Anche la coda è all'insegna della rotondità, con un raccordo ad ampio raggio tra l'abitacolo ed il bagagliaio. Generose le dimensioni: passo cm 286, carreggiate cm 128 anteriormente e cm 130 posteriormente, lunghezza cm 442, larghezza cm 156.
La velocità massima della vettura si aggira attorno ai 135 Km/h, mentre il consumo dichiarato (norme CUNA, cioè a velocità costante, in piano, in IV marcia ed a 2/3 della velocità massima) è di 10,5 litri ogni 100 km.

La scelta del nome

Abbandonando i nomi di città laziali (Ardea, Aprilia), la Lancia assegna alla B10 la designazione "Aurelia", un nome che, se vogliamo, ha un suono armonioso che riflette appieno il carattere della macchina. Inizia così la serie dei nomi corrispondenti alle vie consolari romane: la serie proseguirà con l'Appia (1953) e con la Flaminia (1956-57). La via Aurelia è una delle più importanti strade romane che congiunge Roma con Arles attraverso Civitavecchia, Pisa e Genova. Il primo tratto (quello italico) venne costruito nel II secolo a.C., mentre la prosecuzione fino ad Arles risale all'età imperiale. Attualmente, la via Aurelia - che segue in gran parte il tracciato originario - giunge fino a Ventimiglia, al confine con la Francia.

Prima serie

La Aurelia viene presentata al pubblico al Salone dell'automobile di Torino che si apre il 4 maggio 1950: già in quella prima occasione, oltre alla berlina di serie (tipo B10) viene esposto l’autotelaio a pianale per i carrozzieri (tipo B50) e la versione Cabriolet dovuta a Pininfarina (realizzata appunto sulla base dell’autotelaio B50). Dell'Aurelia vi furono poi le versioni per così dire “derivate”, come le coupé B20 e le spider B24.

Sin dal suo apparire, l’Aurelia desta scalpore, anche perché, assieme alla contemporanea Fiat 1400, rappresenta il primo prodotto automobilistico italiano veramente “nuovo” del dopoguerra. Negli anni dal 1946 al 1949, infatti, non pochi modelli Fiat, Lancia ed Alfa Romeo, sono stati oggetto di ammodernamenti, anche degni di interesse, ma in nessun caso si è potuto parlare di un qualcosa che veramente chiudesse col passato.
Il motore dell’Aurelia B10 è un 6 cilindri a V di 60°; stando ai tecnici e agli esperti dell’epoca i vantaggi che sarebbero propri di questa inusuale disposizione (ripresi da un articolo apparso sulla rivista Auto Italiana) erano: un minor ingombro (motore più corto) con possibilità di utilizzare albero motore e basamento rigidi e leggeri; la possibilità di impiegare un solo albero a camme, corto, con aste corte per comandare i bilancieri delle valvole; la possibilità di avere una buona alimentazione, anche impiegando un solo carburatore; una ottimale disposizione dei collettori di scarico (uno per lato).
La cilindrata è di 1754,90 cm3 (alesaggio mm 70, corsa mm 76), il blocco motore è in lega leggera, le canne cilindri sono in ghisa (ricambiabili), le testate in lega d’alluminio con sedi valvole in ghisa, l’albero motore (molto corto) è in acciaio speciale, temprato, contrappesato e ruota su 4 supporti in bronzo: il diametro dei perni di banco è di 55 mm, quello dei perni di manovella di 45 mm. I cuscinetti di banco e di biella sono in bronzo e guarniti d’antifrizione. Le bielle sono in acciaio stampato. I pistoni sono in lega d’alluminio, con cinque anelli (tre di compressione e due raschiaolio).
Le altre caratteristiche del propulsore sono: la distribuzione è ad albero a camme centrale (posto cioè nell’angolo formato dalle due file di cilindri) mosso da una catena doppia, a rulli (mantenuta in tensione da un pignone il cui supporto, scorrevole, è caricato dalla pressione esistente nei condotti di lubrificazione del motore); le valvole sono in testa, inclinate di 26° rispetto all’asse del cilindro, mosse da bilancieri (in acciaio speciale, molto corti) e da aste (tubolari, in duralluminio). Ogni coppia di bilancieri è sopportata da un paio di cuscinetti in ghisa. Per contenere la larghezza del motore, le valvole, inclinate tra loro, vengono posizionate in linea con l’asse dei cilindri. Il registro del gioco del comando della valvola si effettua con vite a testa sferica e dado, sul braccio del bilanciere azionato dall’asta.
La lubrificazione è forzata, con pompa dell’olio azionata da un alberino verticale calettato sul retro dell’albero a camme. Il filtro olio è del tipo “a cartuccia”. Il collettore di aspirazione è riscaldato dall’acqua del radiatore. L’alimentazione è a mezzo di pompa meccanica a membrana. Il carburatore è un Solex invertito doppio corpo (30AAI) munito di dispositivo d’avviamento (starter) e di arricchitore (che mantiene la miscela “ricca” finché il motore non si è scaldato).
La accensione è a spinterogeno e l’ordine di accensione dei cilindri è: 1-4-3-6-5-2. Le candele (diametro mm 14 e lunghezza della parte filettata di mm 18) sono situate al di fuori della “V” dei cilindri, sono disposte radialmente nella camera di combustione, a 27° rispetto all’asse del cilindro. La potenza di questa unità motrice non è molto elevata (56 CV totali, corrispondenti a 32 CV/litro scarsi), al pari del valore del rapporto di compressione (6,85:1) e del regime di rotazione (la potenza massima è erogata a 4.000 giri/minuto, ma il motore può ruotare fino a 4.500-4.700 giri/minuto). Notevole per contro l’elasticità di marcia, grazie al valore della coppia motrice massima (10,8 kgm ad un regime di rotazione compreso tra 2.500 e 3.000 giri/minuto). L’impianto di raffreddamento, ad acqua con pompa (circolazione forzata) è regolato da due termostati, uno posto sulla tubazione (che ha il compito di non lasciar circolare l’acqua sino a quando non abbia raggiunto una certa temperatura) e l’altro posizionato sul radiatore (per comandare la persiana regolatrice, che si apre quando la temperatura dell’acqua sorpassa un determinato valore). Il radiatore è del tipo a lamelle. Da rilevare che il motore dell’Aurelia ha dei passaggi d’acqua che, nelle zone più critiche quali le sedi delle valvole, sono molto grandi. L’impianto di raffreddamento è completato dal consueto ventilatore ausiliario a 3 pale Il motore è fissato alla scocca su quattro blocchi di gomma, necessari a garantire la migliore trasmissione al gruppo frizione-cambio-differenziale posizionato al retrotreno. Il peso del motore, completo di dinamo e motorino d’avviamento, è di 145 kg.
Nella trasmissione (con trazione classica sulle ruote posteriori), una grossa innovazione è data dal fatto che frizione, cambio e differenziale vengono realizzati in gruppo unico, ancorato al telaio e disposto al retrotreno: in questo modo si aumenta il peso gravante sulle ruote posteriori, si diminuisce quello gravante sulle ruote anteriori e si migliora l’abitabilità in quanto viene ad essere eliminata la protuberanza per il cambio tra gli occupanti del sedile anteriore.
L’albero di trasmissione è in due tronchi, con tre supporti (due alle estremità ed uno centrale, tutti flessibili, con 6 settori di gomma). La frizione è monodisco a secco. La scatola del cambio è in lega leggera ed in un solo pezzo ed ha la coppa inferiore smontabile. Il cambio è a quattro rapporti più retromarcia, con i tre rapporti superiori (ad ingranaggi sempre in presa) muniti di sincronizzatori. I rapporti al cambio sono: prima marcia 2,86:1, seconda 1,84, terza 1,24 e quarta (moltiplicata) 0,86, la marcia indietro è 3,61:1. Gli ingranaggi della retromarcia e della prima marcia sono a denti dritti, tutti gli altri a denti inclinati e sempre in presa. Il comando del cambio è al volante. Il rapporto finale di riduzione è di 4,889:1 dal momento che la coppia conica Gleason ha un pignone di 9 denti e una corona di 44 (altre fonti dicono 4,70:1 con pignone da 10 denti e corona da 47 denti). I semiassi sono muniti di giunti interni a scorrimento, necessari per compensare il variare della lunghezza durante il movimento della sospensione, mentre all’estremità esterna vi sono dei giunti universali ad aghi Hooke, sistemati all’interno dei mozzi delle ruote. I mozzi delle ruote posteriori hanno cuscinetti di grandi dimensioni per poter ospitare i particolari giunti ad aghi Hooke di cui s’è detto.
L’impianto frenante d’esercizio (a pedale) è idraulico, con i tamburi dei freni posteriori posizionati all’uscita del differenziale per ridurre le masse non sospese e per un miglior raffreddamento. Il freno a mano, di stazionamento, agisce sulle ruote posteriori, mediante comandi meccanici.
Per quanto riguarda le sospensioni: per l’avantreno viene mantenuto il classico schema Lancia a ruote indipendenti, elemento a colonna verticale (leggermente inclinata verso la ruota ed incorporante molla elicoidale ed ammortizzatore idraulico), barra di accoppiamento tra le due ruote), mentre al retrotreno si finisce con realizzare un sistema di sospensione a ruote indipendenti, diverso e fors’anche più semplice rispetto a quello della progenitrice, con triangoli obliqui, molloni elicoidali ed ammortizzatori idraulici a braccio esterno (sistema Armstrong).
Lo sterzo è a vite senza fine e ruota elicoidale (i tiranti hanno boccole elastiche e snodi a sfera), la posizione di guida normale è a destra (solo a partire dal 1951 è prevista la possibilità di ottenere la guida a sinistra e le vetture con tale caratteristica vengono contraddistinte dal suffisso “S” a seguire la normale sigla del modello).
L’impianto elettrico è a 12 Volt, con dinamo di 200 Watt e batteria da 50 Ah.
La carrozzeria è realizzata in parte in alluminio (porte, paraurti, parafanghi posteriori, cofano, sportello baule-bagagliaio, piano bagagli) ha 4 porte (senza montante centrale), 4 luci, 5-6 posti, ha i vetri del parabrezza e del lunotto in cristallo curvo; elaborata “in casa”, è caratterizzata da una linea assai sobria ed elegante, probabilmente ispirata da quella di una Aprilia carrozzata da Pininfarina nel periodo 1946-1948, ma ulteriormente ammodernata ed addolcita. Il passo è di 286 cm, le carreggiate anteriori e posteriori di 128 e 130 cm rispettivamente, la lunghezza complessiva è di 442 cm, la larghezza di 156 cm, l’altezza di 150 cm, l’altezza minima dal suolo è di 15 cm. Il diametro di sterzata è di mt 10,70. Le ruote hanno cerchio 165x400 a base allargata (4.50x16 per l’esportazione) mentre gli pneumatici sono da 165x400 (5.50x16 per l’esportazione). La gamma colori iniziale prevede sei tinte: nero, blu, grigio, nocciola, verde, amaranto.
Malgrado il largo impiego dell’alluminio, l’Aurelia B10 ha un peso non indifferente (1080 kg a vuoto, con accessori e ruota di scorta e circa 1150 kg con vettura rifornita), per cui le prestazioni velocistiche non appaiono, in questa prima versione, particolarmente brillanti: secondo quanto dichiarato dalla Casa, la velocità massima della B10 è di 135 km/h ed il suo consumo (calcolato secondo le norme CUNA, vale a dire misurato in piano ed in IV marcia, ad una velocità costante pari ai 2/3 di quella massima) è di 10,5 litri ogni 100 km mentre la pendenza massima superabile in prima marcia a pieno carico, è dell’ordine del 28%.
Nella Aurelia – ed in particolare in questa prima versione B10 - vengono privilegiate le doti di confortevolezza (silenziosità, morbidezza delle sospensioni), di lusso (arredamento interno e tessuto in panno in particolare) e la elasticità di marcia (ovvero la capacità di riprendere da basse velocità anche mantenendo inserite le marce superiori).
L’Aurelia viene accolta con successo, malgrado un prezzo di listino che, al momento del lancio, è già di 1.830.000 Lire (per la berlina di serie). Meno di un anno dopo, nel gennaio 1951, tutte le vetture italiane subiscono un aumento, e la berlina B10 passa così a 2.038.000 Lire, prezzo che, da allora fino al termine della commercializzazione (marzo-aprile 1954) subirà solo piccole variazioni insignificanti.
Al Salone di Torino del 1951, quindi dopo circa un anno di produzione, in concomitanza con l’uscita del coupé B20, la berlina Aurelia si sdoppia, nel senso che l’acquirente può scegliere il motore da adottare: il B10 da 1,8 litri e 56 CV oppure la versione potenziata da 2 litri di cilindrata, denominata B21, che monta un propulsore da 69,5 CV di potenza analogo a quello che equipaggia il coupé B20 (che tuttavia è leggermente più potente, erogando 75 CV). Le prestazioni velocistiche della B21 naturalmente migliorano e la vettura può raggiungere i 145 km all’ora.

La gamma della “prima serie” Aurelia si amplia ulteriormente all’inizio dell’autunno 1952, quando alla B10 ed alla B21 si aggiunge il modello B22, una “due litri” (come la B21) notevolmente potenziata (90 CV nella versione di serie posta in commercio). Alla creazione di questo modello berlina d’intonazione sportiva si giunge sulla spinta dei successi sportivi ottenuti dalle Aurelia B20 e B21 nel 1951 e nei primi mesi del 1952, successi che però sono messi seriamente in pericolo dall’incombente rivale Alfa Romeo 1900, agguerritissima specialmente nella sua ultima versione TI (Turismo Internazionale).
Nata con intenti agonistici, la B22 armonizza assai bene un corpo vettura sobrio, elegante, quasi lussuoso, con un propulsore dalle prestazioni rilevanti (la velocità massima supera i 160 km all’ora). La carriera agonistica della B22, che sembra potersi opporre con una certa efficacia all’Alfa Romeo, si interrompe però nel 1953, quando sorge una diatriba con la Casa milanese e con la Commissione Sportiva Automobilistica Italiana (CSAI) a proposito della validità di omologazione: per qualche mese, la CSAI inibisce sia alla B22 della Lancia che alla TI dell’Alfa la partecipazione alle gare nella categoria Turismo e, alla fine, Gianni Lancia decide di sospendere la partecipazione diretta della Casa alle corse di questa categoria e, forse per tagliare la testa al toro, nel 1954 presenta la seconda serie dell’Aurelia, unificata, meno sportiva e, soprattutto, munita di un motore di quasi 2300 cm3 che di fatto preclude alla vettura la partecipazione alle gare di velocità.
La prima serie Aurelia, dunque, vive soltanto 4 stagioni, dal 1950 al 1953: in quattro anni la gamma si è ampliata e da un solo modello (1950), si è passati a due (1951) ed infine a tre (a partire dalla fine del 1952), ma le modifiche apportate in corso di produzione sono state davvero pochissime e di scarsa rilevanza (oltre ad un lieve aumento del rapporto di compressione, da 6,85:1 a 7,00:1 abbiamo, nel 1951, le frecce direzionali sostituite dalle luci lampeggianti; nell’autunno 1952, si registrano modifiche al disegno della calotta dei fanali anteriori, ed una colorazione quadri strumentazione in tonalità più chiara).
Per la verità un quarto modello, denominato B15, è stato costruito, sia pure in quantità estremamente limitata, tra l’aprile 1952 ed il giugno 1953: si tratta di una berlina-limousine allungata (passo cm 325 anziché 286 e lunghezza cm 481 anziché 442) a 6 luci, 6-7 posti, con strapuntini e divisorio, creata per un utilizzo di rappresentanza oppure per noleggio da rimessa. La linea della vettura ricalca quella della B10 ma risulta meno armoniosa. Data anche la particolare destinazione d'uso della vettura, la produzione (sub-appaltata alla carrozzeria Bertone) è di appena 81 esemplari.

La produzione della prima serie Aurelia si arresta dopo 10.386 unità (5451 B10, 3780 B21, 1074 B22 e 81 B15): a titolo di curiosità, di queste 10.386 vetture, 9132 vengono consegnate con la tradizionale per i tempi guida a destra e soltanto 1.254 clienti richiedono la guida a sinistra.

Seconda serie

Il 1953 è un anno cruciale per la Lancia, che si getta a capofitto nel campo delle competizioni: le rinnovate coupé B20 si affermano quasi ovunque, i modelli “sport” creati per le gare su lunga distanza colgono successi in serie e "rischiano" di aggiudicarsi il Campionato del Mondo di quella categoria, mentre è addirittura imminente l’uscita di una monoposto di Formula Uno (che vedrà la luce nel’54). Qualche problema giunge invece dalle berline, cui tra l'altro vengono imputate manchevolezze di finitura e, in generale, una costruzione poco accurata che scontenta i "lancisti".
La carriera agonistica della B22, che sembrava potersi opporre con una certa efficacia all’Alfa Romeo, si interrompe appunto nel 1953 in seguito alla decisione di Gianni Lancia che sospende la partecipazione diretta della Casa alle corse di questa categoria. A questo punto viene varato il lancio di una nuova serie della berlina Aurelia (la seconda serie), che, abbandonata ogni velleità agonistica, si caratterizza soprattutto per il comfort e per la accuratezza di finitura.
Alla fine del 1953 cessa la produzione delle Aurelia berlina (e degli autotelai) da 1,8 e da 2 litri, nei primi mesi del 1954 sulla stampa specializzata viene preannunciata la nuova serie di Aurelia (la stessa Casa torinese fa pubblicare inserzioni in tal senso) e al Salone dell’automobile di Torino inaugurato il 21 aprile 1954, vede la luce questa nuova berlina (designazione di fabbrica B12), che viene prodotta in un’unica versione.
Il primo dato che salta agli occhi è l’incremento della cilindrata oltre la soglia dei due litri (esattamente 2266,37 cm3) che implica automaticamente l’impossibilità –anche per gli acquirenti – di prendere parte alle gare, visto e considerato che la classe di cilindrata entro cui eventualmente competere con la rivale Alfa Romeo è quella il cui limite è fissato nei 2000 centimetri cubici. È comunque la classe stessa della nuova vettura – che pesa anche quasi un quintale in più - ad indicare senza ombra di dubbio quale sia la effettiva destinazione del veicolo.
Oltre che per l’innalzamento della cilindrata (la potenza è però inferiore a quella del “due litri” della B22, 87 HP contro 90) il motore della “seconda serie” presenta una nuova fusione del blocco cilindri, nuovi supporti dell’albero motore Vandervell a guscio sottile (anziché in metallo bianco) e un nuovo filtro dell’olio.
La B12 si caratterizza anche per una nuova sospensione posteriore (ora del tipo De-Dion, ovvero a ruote semi indipendenti) e per una linea che, pur conservando l'armoniosità e la pulizia della precedente, è volutamente più imponente (alcuni lamierati sono per l’appunto ridisegnati) ed è ravvivata da un frontale con una nuova fanaleria (che comprende ora gli antinebbia) e da una coda in cui il profilo del bagagliaio è più pronunciato (il vano bagagli è più ampio, con la ruota di scorta in posizione verticale). Ma i particolari che fanno di questa seconda serie, che è anche la berlina italiana di maggior cilindrata di quel periodo, una vera e propria “ammiraglia” sono innumerevoli: si va dai vetri azzurrati al fanalino per la retromarcia, dallo spruzzatore lavacristallo alla ruota di scorta ricoperta da una custodia protettiva (per impedire che la ruota venga a contatto con i bagagli). E ancora: lunotto ampliato, nuovo elegante volante nero, nuovo cruscotto e nuova strumentazione, poggiabraccia retrattile inserito al centro del sedile anteriore, deflettori ai vetri delle porte anteriori, nuovi e più robusti paraurti in ottone cromato, bordini sui passaruota.
Travolta dalle vicende che travagliano la Casa torinese nel 1955 culminate nell’abbandono di Gianni Lancia, questa pur apprezzabile berlina-ammiraglia viene costruita in appena 2.400 unità nel biennio 1954-55: non male, comunque, le vendite all’estero di questo modello, che, malgrado un prezzo di vendita come sempre molto superiore rispetto a quelli praticati dalla concorrenza, hanno sfiorato il 20% della produzione. La B12 ha dunque vita breve, un biennio (1954/55), dopodiché la nuova proprietà Lancia, che mantiene in vita la coupé B20 e la spyder B24, decreta invece la fine della berlina Aurelia, per sostituirla con la monumentale Flaminia, che tuttavia verrà messa in commercio soltanto nella seconda metà del 1957.
Nei due anni di produzione, non risulta che alla B12 siano state apportate modifiche di un certo rilievo.
Da segnalare il fatto che le richieste per la “guida a sinistra” cominciano a farsi sentire tanto che delle 2.400 unità costruite, più del 40% (1020 pezzi) hanno il volante posizionato in quella posizione: è un segno dei tempi, nel senso che la tradizionale posizione a destra del volante – che non facilita i sorpassi – mal si concilia con le esigenze del traffico, in rapido crescendo.
La berlina B12, dunque, viene prodotta fino al gennaio 1956 e rimane nei listini (evidentemente per lo smaltimento delle scorte) fino all’aprile del 1957. Poi sarà la volta della Flaminia, il cui prototipo, uscito nel 1956, avrà una carrozzeria ispirata chiaramente a quella realizzata l’anno prima dalla Pininfarina (“Florida a 4 porte”) su un autotelaio Aurelia B56 da 2,3 litri.

Le Aurelia da competizione

L'Aurelia è il primo modello Lancia ad ottenere grossi successi sportivi anche a livello internazionale. Le qualità velocistiche si sono rivelate sin dalle prime uscite in corsa, quando a gareggiare è stata la "pacifica" berlina B10 (con motore di cilindrata da 1 litro e 3/4), ma il salto di qualità avviene l'anno dopo, nel 1951, quando esce la B20 coupé da 2 litri e quando anche la berlina può essere dotata del motore maggiorato (modello B21).
Analizzando in particolare i risultati sportivi ottenuti dalle berlina anno per anno, si può notare che, se nel 1951 il dominio dell'Aurelia è stato assoluto perché la rivale Alfa Romeo 1900 ancora non era stata omologata nella categoria Turismo Nazionale, nell'anno successivo, quando la rivale milanese comincia a scendere in lizza, il dominio Aurelia rallenta parecchio ed in diverse occasioni l'Aurelia è costretta a cedere le armi.
Nel 1953, quando la Lancia mette in campo le più potenti B22, la lotta sembrerebbe volgere a favore dell'Aurelia, sennonché l'Alfa Romeo si rifà prontamente e definitivamente grazie alla nuova 1900 Turismo Internazionale che monta il motore da 100 cavalli della Sprint.
Le Aurelia hanno gareggiato tanto nella categoria Turismo quanto nella Gran Turismo o nella Sport: ciò in funzione dei regolamenti via via succedutisi, del modello (berlina B10/B21/B22 oppure coupé B20-2000/B20-2500 oppure B24) e dell’eventuale grado di “preparazione/elaborazione” della singola vettura.
All’inizio del 1953 la Lancia decide di impegnarsi più attivamente anche nel settore delle vetture della categoria Turismo Internazionale e dunque allestisce alcune berline del tipo più potente, il B22, con l’intento di farle scendere in gara. Di certo si conoscono i dati di tre B22 speciali (telai numeri 1142,1263 e 1266, motori numeri 1145, 1379 e 1380, targhe TO 142842,142841 e 142845), ma pare che la Casa abbia preparato un numero imprecisato di altre B22 speciali, con numeri di telaio compresi tra 1258 e 1271.
Anche se non esistono dati precisi, evidentemente queste B22 speciali montano motori potenziati (si parla di un centinaio - probabilmente abbondante - di cavalli a 5000 giri/minuto) e, probabilmente, sono alleggerite rispetto alle berline di serie, dalle quali comunque non si differenziano esteticamente (alcune di esse montano talvolta fari supplementari - uno centrale e/o due laterali - ma ciò non consente di individuarle con certezza perché anche altre berline Aurelia - ufficiali e no - vengono spesso dotate di uno o più fari supplementari).
La “carriera” di questo modello si interrompe quasi subito a seguito di una controversia legale-sportiva che coinvolge Lancia, Alfa Romeo e l’Autorità competente (ovvero la Commissione Sportiva Automobilistica Italiana) e che induce la Casa torinese a desistere dal competere in questa categoria: ciò non impedisce che poi alcuni privati impieghino in gara (anche con successo) le loro B22.

Fonte: Wikipedia