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Aprilia

Le vendite dell'Augusta procedono a gonfie vele coprendo nel 1934, 1935 e 1936 quasi l'85% della produzione e del fatturato aziendale, e Vincenzo Lancia ritrovava nel piccolo modello su scala nazionale i fasti ed i riconoscimenti che su scala internazionale erano stati tributati alla Lambda, (e d'altra parte la crisi del'29 aveva obbligato tutti i produttori più avveduti ad una rapida riconversione verso vetture leggere e di piccola cilindrata pena la chiusura). Ma anche nel pieno del successo delle vendite un buon imprenditore non si può mai sedere sugli allori e nell'incalzare della competizione tecnologica i suoi pensieri sono adesso rivolti ad una macchina ancora più rivoluzionaria, un prodotto anticonvenzionale che possa lasciare il segno.
In sostanza si tratta di completare il rivoluzionario progetto Augusta, quello della prima scocca autoportante su vettura chiusa prodotta al mondo, con quello che in quel progetto non si poteva fare in quanto i tempi non erano maturi (1931/1932) e cioè l'aerodinamica, le camere di scoppio emisferiche (motore ad alto rendimento termodinamico) e le 4 ruote indipendenti, tutti perfezionamenti radicali che per la prima volta apparivano su una Lancia.
Questo progetto anticipava nel suo complesso quello che sarà la vettura "tipo" degli standard produttivi degli anni cinquanta e sessanta con 20 o 30 anni d'anticipo. Tant'è che guidare anche oggi un'Aprilia da le stesse sensazioni che guidare una vettura degli anni '60 (il cambiamento successivo, negli anni settanta, sarà la diffusione capillare della trazione anteriore).
Un capitolo a parte è quello dell'aprile del 1934, quando viene brevettato un originale progetto per una vettura del tutto anticonvenzionale, nella quale il pilota si sarebbe trovato in posizione centrale ed avrebbe avuto due passeggeri al suo fianco, uno per parte, mentre una quarta persona avrebbe trovato alloggio su un piccolo divano posteriore, posto nella coda - molto rastremata - dell'inconsueto veicolo, provvisto di due sole ampie portiere, ma questo progetto, giudicato troppo ardito, sarà accantonato.
Negli ultimi mesi del 1934, Vincenzo convoca lo staff direttivo (gli ingegneri Manlio Gracco e Giuseppe Baggi, rispettivamente direttore generale e direttore tecnico, i tecnici signori Alghisi, Falchetto, Sola e Verga, il collaudatore Gismondi) e, di fatto, dà il via allo studio di una vettura "classica" ma aerodinamica (un aspetto sinora scarsamente considerato), dalla cilindrata un poco superiore ai 1200 cc dell'Augusta, relativamente leggera (sotto alla tonnellata nella versione berlina 5 posti) e capace di fornire prestazioni superiori con potenza e consumi relativamente modesti.
Nell'inverno 1934-1935 la squadra dell'ufficio tecnico disegna il motore (che Lancia vuole inferiore al litro e mezzo) per il quale viene mantenuto il classico schema dei cilindri a V stretto, ma che si distingue per la forma emisferica delle camere di scoppio, ottenuta grazie ad un sistema di distribuzione particolare e un po' complesso (brevettato). La testata è fusa in ghisa ed ha i condotti di aspirazione posizionati sul lato destro del motore, quelli di scarico sul lato sinistro (la testata è dunque del tipo a flussi incrociati). Al banco, il motore (con monoblocco in alluminio e canne dei cilindri riportate, in ghisa) eroga la potenza di più di 47 cavalli a circa 4000 giri al minuto, valore elevato per un 1352 cm3 di quell'epoca.
Quanto alla carrozzeria, ricerche effettuate in collaborazione con il Politecnico di Torino portano a concludere che la forma della coda riveste una particolare importanza aerodinamica: la linea della vettura, quindi, segue alla lettera queste indicazioni al punto che, quando Vincenzo vede il "mascherone" in legno della carrozzeria, trova esagerato il raggio di raccordo tra tetto e fiancata, e lo fa subito ridurre. Alla fine, il coefficiente aerodinamico risulta di appena 0,47 Cx, un record per l'epoca (e corrispondente, grosso modo, a quello di una Renault 5 o della prima Volkswagen Golf o di una Alfa Romeo Giulietta della serie degli anni ottanta).
La scocca dell'Aprilia, carrozzeria compresa, viene brevettata - come consuetudine Lancia - il 9 gennaio del 1936.
Un particolare della carrozzeria che fa dannare i tecnici sono le cerniere delle porte (le porte sono "ad armadio" come nell'Augusta): Vincenzo pretende siano "nascoste" ma per risolvere soddisfacentemente il problema, alla fine ci si dovrà rivolgere a tecnici esterni all'azienda (e l'Aprilia sarà dunque la prima Lancia in cui le cerniere non sono in vista). Sempre a proposito di portiere, che si vogliono di profilo curvo anziché rettilineo per una questione di armonia di linea, si costringono i tecnici ad escogitare nuovi sistemi d'incernieramento (mediante perni a sfera inclinati) che complicano ulteriormente le cose, ma i risultati si vedono (e si sentono) tant'è che la dolcezza, la precisione ed il famoso suono (… "toc"…) di chiusura delle portiere dell'Aprilia resteranno a lungo nella leggenda e contribuiranno a creare, negli anni'40 e cinquanta, il "mito" della qualità Lancia.
Il progetto della scocca dell'Aprilia usufruisce dell'esperienza acquisita negli anni della produzione Augusta (dal 1933) e raggiunge una rigidità torsionale ancora più elevata, si mantiene la struttura unitaria costituita dal pianale e dalla carrozzeria (elettrosaldata), ma si tolgono i gocciolatoi (come pure le cerniere esterne) perché inaccettabili dai profili aerodinamici. I lamierati impiegati sono da 1,2 mm per le zone portanti e di 0,8 mm per il resto, ed il peso complessivo della berlina risulta di poco più di 9 quintali (circa 100 kg più della leggerissima Augusta). Nonostante le maggiori dimensioni rispetto all'Augusta l'abitabilità non migliora in quanto deve fare i conti con l'aerodinamica (curvature del parabrezza e del posteriore) e la visibilità di guida peggiora decisamente sempre per gli stessi motivi, d'altra parte nessuno si può lamentare perché è la tendenza mondiale di tutti i costruttori (tutto si sacrifica per l'aerodinamica) e le cose cambieranno solo negli anni '60 quando i vetri si curveranno a basso costo.
Sicuro che stabilità ed aderenza traggano vantaggio dalla adozione di sospensioni a quattro ruote indipendenti e fermo restando l'adozione dell'ormai classico schema Lancia all'anteriore, Vincenzo fa mettere allo studio una idonea sospensione posteriore. Il retrotreno progettato per la Aprilia risulta piuttosto complesso e richiede una messa a punto laboriosa.
Nei primi prototipi si tenta la soluzione della semplice balestra trasversale, che si rivela insufficiente. Allora si aggiungono due barre di torsione. In seguito ulteriori modifiche ed aggiunte di modo che alla fine la sospensione risulta così concepita: differenziale fisso alla scocca e semiassi oscillanti per mezzo di due bracci mobili ancorati alle estremità di due barre trasversali lavoranti per torsione e protette da un tubo, ed una balestra trasversale fissata, nella sua parte centrale, alla parte centrale della scatola del differenziale mediante un supporto elastico snodato. Completano il tutto due tiranti di fune metallica che collegano le estremità della balestra con la parte mediana dei bracci mobili sostenenti i mozzi delle ruote.
Molto interessante, sempre al retrotreno, anche la soluzione adottata per i freni, che sono posizionati all'uscita del differenziale anziché alle ruote, e ciò al fine di ridurre le masse sospese e migliorare così la tenuta di strada.
Le prove su strada dell'Aprilia si protraggono sino al giugno del 1936, ma, contrariamente a quella che è una sua abitudine, Vincenzo non vi partecipa mai in prima persona. Finalmente, all'inizio dell'estate del '36, esattamente il 26 giugno, dovendo effettuare un viaggio a Bologna, compie la sua prima esperienza con un prototipo Aprilia: lasciata la guida al fido Gismondi, Vincenzo gli siede accanto e se ne rimane silenzioso, salvo per osservare che la velocità della vettura (superiore ai 130 chilometri all'ora) gli pare eccessiva. Al ritorno però, Vincenzo non resiste alla tentazione e, approfittando di una sosta a Voghera, si fa cedere il volante, guidando veloce sino a Torino. In vista della città, finalmente, si lascia andare con una breve frase che però sintetizza appieno il suo stato d'animo "che macchina magnifica!". I tre che sono in macchina con lui (i tecnici-collaudatori Verga e Tacchini, oltre al Gismondi), sinora in ansia per l'apparente freddezza del "capo", possono tirare un sospiro di sollievo.
Alla vettura vengono apportate solo alcune piccole modifiche, la più rilevante delle quali, voluta da Vincenzo dopo aver guidato un ultimo prototipo per effettuare un viaggio a Genova, è il contenimento della velocità massima entro il limite dei 125 km all'ora.
L'Aprilia viene presentata al Salone di Parigi (che si apre il 1º ottobre 1936) con il nome di Ardennes (la catena montuosa che separa la Francia dal Belgio) e, subito dopo, ai Saloni di Londra (15 ottobre) e di Milano (28 ottobre), col suo nome italiano, Aprilia (corrispondente a quello di una città laziale).
Pare che al Salone di Parigi, Henry Ford attenda la chiusura serale al pubblico per curiosare, di nascosto, attorno e sotto l'Ardennes esposta: leggenda vuole che, scoperto dai custodi (e redarguito prima d'essere riconosciuto), commenti "era l'unica macchina del Salone per la quale valeva la pena di farmi correre il rischio di fare una figuraccia".
Comandi e strumentazione delle prime Aprilia
Come ormai consolidata consuetudine, oltre alla berlina (tipo 238), anche questo prodotto Lancia viene offerto nella versione "autotelaio" (tipo 239), destinato alle fuoriserie, cioè sostanzialmente a tutti coloro che intendono farsi costruire una carrozzeria quasi "su misura" rivolgendosi ai più celebrati carrozzieri. Questo autotelaio ha le medesime caratteristiche della berlina (incluse le sospensioni a ruote indipendenti sulle quattro ruote) ma la misura del suo passo è di 10 cm superiore (285 invece di 275).
Quando appaiono le prime berline Aprilia, i tecnici si mostrano scettici. Anche il pubblico appare un po' sconcertato dalla linea difficile da digerire. Ma in breve, gli uni devono ricredersi, gli altri cominciano ad abituarsi e ad apprezzarla. E l'Aprilia - malgrado un motore potente, ma leggermente poco elastico, una tenuta di strada da taluni (erroneamente) giudicata scarsa per l'effetto delle 4 ruote indipendenti - non tarda a farsi valere sulle strade, anche in corsa (dove non avrà rivali nella classe 1500 cc).
I detrattori della produzione Lancia anche in questo caso l'accusano di manifestare "shimmy", in realtà il raffinato, sofisticato, sensibile e suscettibile sistema a ruote indipendenti Lancia non tollera né cattiva manutenzione, né ruote non perfettamente equilibrate, e quindi rende una guida perfetta solo in condizioni di alta efficienza (ben diversamente dalle altre marche che con risultati di tenuta di strada assai mediocri garantivano una buona efficienza anche nelle condizioni di manutenzione e funzionamento peggiori).
Vincenzo Lancia muore all'alba del 15 febbraio 1937, non ancora 56-enne, per un infarto: questa morte tanto improvvisa quanto prematura non gli darà la soddisfazione di vedere uscire dalla catena di montaggio il primo esemplare di Aprilia (evento che avverrà il 24 febbraio), né tanto meno di assistere al successo di questa sua ultima creatura.

L'evoluzione

A pochi mesi dal lancio, nell'estate del 1937, la berlina si sdoppia ed alla versione originale "standard" (oggi diremmo "base") si aggiunge una edizione "Lusso" (tipo 238L) che presenta alcune migliorie all'abitacolo e che si distingue esteriormente in quanto munita delle pedane laterali (che mancavano, ma che poco dopo vengono applicate anche alla versione "standard").
Nell'agosto 1939, tanto la berlina (la cui sigla di fabbrica diventa "tipo 438") quanto l'autotelaio (che diventa "tipo 439") subiscono modifiche di un certo rilievo, che danno origine alla seconda serie. Il motore passa da 1352 a 1486 cmc, la potenza rimane sostanzialmente invariata (migliorano invece le doti di coppia) e tutta la meccanica della vettura (in particolare sospensioni anteriori e trasmissione) è oggetto di migliorie, che riguardano anche la versione autotelaio.

A partire da questa seconda serie, la berlina viene offerta in tipo unico, che corrisponde (tranne forse qualche particolare minore) al precedente tipo Lusso.
Anche la famiglia degli autotelai prolifica ed ecco che, accanto al tipo 439, viene prodotto anche il tipo 539, irrobustito e munito di sospensioni posteriori per così dire classiche (ponte rigido) ed il tipo 639, anch'esso a ponte rigido ma più corto, che, carrozzato generalmente da Viotti, dà origine ad una piccola serie di 250 unità del tipo "Coloniale".
Al termine della seconda guerra mondiale nel 1945, malgrado i quasi 10 anni ormai trascorsi dal momento della progettazione, l'Aprilia, che ora monta un impianto elettrico da 12 Volt, riprende il suo glorioso cammino.
L'ultima Aprilia lascia la fabbrica il 22 ottobre 1949, 12 anni ed 8 mesi dopo il lancio sul mercato.
Il giorno 22 ottobre 1949, dentro al baule dell'ultima Aprilia uscita dalla linea di montaggio, viene trovato un biglietto dai contenuti quasi commoventi. Questo il testo:
«Cara Aprilia, nel prendere commiato ti porgo un reverente saluto. Il tuo nome glorioso ha saputo imporsi nelle più grandi metropoli, merito di un Grande pioniere scomparso ma sempre vivo il suo nome in noi. Gli artefici di questo grande complesso augurano e aspettano che la sorella che sta per sorgere dia altra tanta gloria e maggior comprensione per il bene di tutti.»

Le Aprilia fuoriserie

Il pianale Aprilia viene subito utilizzato dai maestri carrozzieri italiani per realizzare stupende fuoriserie. Non per niente c'è questo dato numerico assai significativo: a fronte della produzione di 20.000 berline di serie, abbiamo quasi 7.000 autotelai "vestiti" fuori dagli stabilimenti Lancia.
A parte le versioni "corsaiole", non c'è carrozziere italiano che non realizzi qualche stupenda fuoriserie su meccanica Aprilia. I nomi che più frequentemente firmano queste vetture sono: Allemano, Balbo, Bertone, Boneschi, Castagna, Fissore, Francis Lombardi, Frua, Garavini, Ghia, Monterosa, Monviso, Pininfarina, Stabilimenti Farina, Touring, Vignale, Viotti. Da notare che alcuni dei modelli realizzati da Pininfarina -berlina e cabriolet- sono costruiti in piccola serie ed inseriti, talvolta, nel listino ufficiale della Casa torinese.
Come abitualmente accade per le Lancia, anche nel caso dell'Aprilia non mancano belle realizzazioni fuoriserie da parte di carrozzerie estere (la svizzera Beutler, la francese Figoni & Falaschi, ecc.)
Naturalmente, accanto a creazioni stupende o particolarmente originali ed innovative, ve ne sono altre meno entusiasmanti (in particolare alcune massicce e sgraziate limousine). Viceversa, tra quelli più riusciti, due modelli devono assolutamente essere citati: la station wagon (allora definita "giardinetta") disegnata da Pietro Frua (e realizzata da Ghia e Viotti nel 1948) contraddistinta dalle fiancate in legno (sul tipo di quelle che caratterizzano la contemporanea e più nota e popolare Fiat Topolino Giardiniera) e la berlina Bilux della Pininfarina (1946/47) la cui linea fluida (con parafanghi solo lievemente accennati e quasi completamente incorporati nella carrozzeria) preannuncia quella della futura nuova grande Lancia, l'Aurelia.

Ma la meccanica e/o il motore dell'Aprilia sono stati utilizzati anche per dare vita ad esemplari decisamente sportivi se non addirittura da competizione. Pininfarina stesso, subito dopo l'uscita della macchina in Italia, propone un coupé molto aerodinamico (parafanghi carenati, coda molto allungata, parabrezza curvo) che raggiunge un CX di 0,39 e che, solo leggermente elaborato nel motore, pare superi addirittura i 160 all'ora.
Anche Zagato, negli anni precedenti lo scoppio della seconda guerra mondiale, realizza alcune spider (o barchette che dir si voglia) destinate soprattutto ad essere impiegate in corsa: proprio al volante di una di queste, l'asso nazionale Luigi Villoresi, abbandonate momentaneamente le monoposto Maserati, partecipa, nel 1938, ad alcune corse italiane di rilievo, ottenendo ottimi risultati, tra cui, alla XII Coppa delle Mille Miglia in aprile, la vittoria nella classe da 1101 a 1500 cm3 della categoria sport nazionale ed il 14º posto assoluto.

Nell'immediato dopoguerra ad occuparsi dell'Aprilia è, in primis, il napoletano Sabatino Paganelli che, su ordinazione del pilota concittadino Luigi Bellucci, realizza nel 1948 la prima di una serie di vetture basate su meccanica Aprilia. Questa prima Lancia-Paganelli è un ibrido, nel senso che si tratta di un esemplare costruito su un telaio Gilco-Fiat equipaggiato con un motore Lancia da 1 litro e mezzo opportunamente elaborato. Altre Paganelli-Lancia vengono realizzate l'anno dopo, quando il motore viene portato a 1,8 litri di cilindrata. Le Lancia-Paganelli ottengono pregevoli prestazioni in corsa, particolarmente nelle gare in salita.
Una interessante serie di vetture da corsa derivate dall'Aprilia sono realizzate dal torinese Giovanni Basso. Nel 1947 il Basso costruisce una prima barchetta con motore Aprilia, con cui corre senza ottenere risultati; l'anno successivo un telaio Basso viene addirittura acquistato dalla Lancia, che, dopo opportune modifiche, affida la vettura al cognato di Gianni Lancia, il gentlemen-driver Ferdinando Gatta, che si distingue in alcune corse italiane in salita. Nel 1949 vedono la luce altri quattro esemplari Basso (due carrozzate dagli Stabilimenti Farina, le altre due da Ghia), che peraltro si distinguono nei concorsi d'eleganza più che nelle corse. L'ultima Basso-Aprilia viene costruita addirittura nel 1952.
Altre Aprilia da corsa sono state realizzate dai piloti Roberto Vallone (nel 1946, telaio Fiat 1100 e motore Aprilia elaborato, carrozzeria barchetta), Alberto Nespoli (nel 1947, carrozzeria barchetta), Luciano Pagani (1947, motore elaborato con "testa" speciale realizzata da Luigi Pagani - padre di Luciano - e carrozzeria barchetta realizzata dalla Carrozzeria Riva).
Infine, al Gran Premio di Modena di Formula 2 del 1950 troviamo tra i partecipanti anche Tino Bianchi alla guida di una monoposto Cisitalia munita di motore Aprilia.

L'autocarro Siata

Nel 1949, la casa Siata (Società Italiana Applicazioni Tecniche Auto-Aviatorie, successivamente modificata in Società Italiana Auto Trasformazioni Accessori) di Torino, nota soprattutto per la sua attività nel campo delle trasformazioni sportive (prima fra tutte la famosa "testa Siata" adattabile a parecchi modelli Fiat degli anni'30-40), realizza un autocarro munito di motore Lancia Aprilia.
Si tratta di un autocarro dall'estetica piacevole, avente una portata utile di 20 quintali, cambio ad 8 velocità (4 velocità e riduttore), una velocità massima dichiarata di 80 km orari ed un consumo di 12 litri ogni 100 chilometri. Questo pur interessante veicolo industriale non avrà un concreto seguito produttivo: tuttavia non si può fare a meno di notare una notevole somiglianza di forme (il "muso" in particolare) con l'autocarro Beta che la Lancia metterà in commercio nel 1950, ovvero meno di un anno dopo.

L'Aprilia e le corse

Negli anni in cui è scesa in gara - cioè dal 1937 al 1950 (con sconfinamenti fino al 1953, anno in cui ancora si distingue nel Rallye del Sestriere) - l'Aprilia non ha avuto rivali tra le vetture della sua categoria (turismo) e classe di cilindrata (da 1101 a 1500 cm3). Questa affermazione, che non teme smentita se ci si riferisce alle competizioni svoltesi in Italia, è peraltro valida anche in senso più generale, poiché anche in terra straniera, quando era presente, difficilmente la piccola Lancia è stata sconfitta.
Molte creazioni artigianali di "barchette" meccanicamente derivate dall'Aprilia calcano le scene sportive degli anni del dopoguerra, sino alla fine degli anni'50, ottenendo anche parecchi successi: le più note sono le vetture realizzate a Napoli da Sabatino Paganelli e portate al successo in particolare per merito del pilota locale Luigi Bellucci.
Un'ultima annotazione: con l'Aprilia hanno debuttato, tra i piloti di futura fama internazionale, i quattro fratelli Marzotto (Giannino, Paolo, Umberto e Vittorio) ed Umberto Maglioli.

Fonte: Wikipedia